La crisi demografica minaccia in silenzio scuola, università e lavoro

La crisi demografica minaccia in silenzio scuola, università e lavoro

La crisi demografica mette a rischio chiusura alcune università italiane. La possibile estinzione di atenei è dovuta soprattutto all’elevata età media della popolazione. L’Italia è un Paese per vecchi. La proiezione che diverse ricerche fanno emergere è abbastanza allarmante, nell’arco di vent’anni si rischia di perdere la maggior parte degli studenti immatricolati.

L’Italia sta attraversando una fase costante di invecchiamento della popolazione. Il tasso di natalità è diminuito ed è in trend negativo dal 2008.  Ai fini di questa riflessione non aiuta il dato positivo che vede aumentare la longevità, perché in prospettiva, non viene garantito il ricambio generazionale.

Il mutamento della struttura sociale del Paese e la crisi demografica conseguente sono ormai un dato di fatto e prendere consapevolezza dello status quo oggi ci consente di compiere un’analisi profonda e per non farci cogliere impreparati.

Il tema principale della crisi demografica si ripercuote su molteplici ambiti, compreso quello dell’educazione e della formazione ma avrà un riverbero anche sul mondo del lavoro da qui ai prossimi 20/25 anni.

Secondo i dati ISTAT l’effetto del calo demografico avrà profonde conseguenze in tempi brevi.

Nei prossimi venti anni, secondo alcune previsioni, è previsto che la popolazione compresa tra i 18 e i 20 anni diminuisca del 15% circa rispetto quella attuale. Le conseguenze delle denatalità avranno effetti negativi sull’interno comparto scolastico e universitario. Gli effetti delle culle vuote sono già visibili, le culle vuote sono diventate banchi vuoti e scuole chiuse. Per il momento scuole dell’infanzia e della primaria, presto sarà il turno delle medie e successivamente delle superiori.

Negli ultimi dieci anni, si evince da uno studio elaborato su dati ufficiali pubblicati sul sito del Ministero dell’Istruzione e del Merito, in Italia sono state sbarrate le porte di oltre 2.600 scuole, solo nel segmento delle scuole dell’infanzia e primaria (che, come noto, interessano gli alunni tra i 3 e gli 11 anni di età). E nei prossimi cinque anni si può stimare che ne chiuderanno almeno altre 1.200, tra statali e paritarie.

Nei prossimi 10 anni perderemo 500mila studenti alle superiori. Nella scuola secondaria di primo grado, ovvero le medie, il calo sarà di quasi 300mila alunni, in quella primaria di circa 400mila scolari e in quella dell’infanzia di oltre 156mila bambini.

Anche gli Atenei subiranno un calo drastico di immatricolazioni, come ribadisce un recente studio di Mediobanca, pubblicato alla fine di Marzo del 2024. La previsione principale è che nel 2041 il minore introito da rette di frequenza per la riduzione degli iscritti sarà parà a 500 milioni di euro. Parliamo di 415 mila studenti in meno nei prossimi vent’anni, -21,2%.

A subire questo drastico calo sarà principalmente il Mezzogiorno, con flessioni superiori al 30% in Molise, Basilicata, Puglia e Sardegna che porteranno il Sud e le Isole a un calo complessivo del 27,6%. Nord e Centro Italia, però, non saranno privi di mutamenti. Si prevede, infatti, un calo di iscritti rispettivamente pari al 18,6% e 19,5%.

La crisi demografica assume ogni giorno di più l’aspetto di una crisi che può divenire sociale, basti pensare alle cattedre che si rischierebbe di perdere. Potremmo passare da 684mila a circa 558mila nel 2033/34 con una riduzione di 10/12mila posti di lavoro ogni anno.

Inoltre, ad un minor numero di studenti immatricolati corrisponderà un minor numero, ancora più ampio, di laureati poiché come sappiamo, non tutte le matricole concludono con successo il percorso di laurea. Ad un minor numero di laureati corrisponderà un minor numero di professionisti da immettere nel mercato del lavoro e questo ridurrà di gran lunga il vantaggio competitivo del Sistema Paese che già oggi sconta un deficit importante nei confronti degli altri Paesi UE in termini di laureati.