La laurea europea, sogno o miraggio?

La laurea europea, sogno o miraggio?

Un titolo di studio federale, una laurea continentale, europea. Questa la proposta presentata in Commissione Europea, che nei mesi finali del suo mandato preme per gettare le basi per una rivoluzionaria iniziativa. L’idea è di introdurre nei Paesi membri una laurea riconosciuta universalmente in tutto il Continente, senza dover passare per il mutuo riconoscimento, ricordiamo, come sottolineato sul sito Youreurope, che “non esiste un meccanismo automatico per il riconoscimento dei titoli accademici a livello europeo. Di conseguenza, se hai intenzione di proseguire gli studi in un altro paese dell’UE, dovresti rivolgerti alle autorità competenti per ottenere il riconoscimento del tuo titolo di studio. Se hai già deciso di completare una parte degli studi all’estero, prima di partire verifica che il paese in cui hai scelto di recarti riconosca il tuo titolo di studio.”

La sfida è appena iniziata, le basi per una riflessione più ampia però ci sono, sarà determinante la volontà del prossimo esecutivo che nascerà dopo le elezioni europee dell’8 e 9 Giugno.

Ad oggi, sono diversi i progetti che accomunano gli Stati dell’UE, sicuramente il più famoso è il progetto Erasmus ricordiamo anche l’esistenza della cosiddetta “doppia laurea”, il gemellaggio tra Atenei di due diversi Paesi. Situazioni sicuramente distanti dal nuovo progetto che coinvolgerebbe più Atenei e comporterebbe una cooperazione e un’integrazione non solo formale ma anche sostanziale sia in termini di offerta formativa ma anche di interazione e contaminazione tra i docenti.

Una grande opportunità per continuare il percorso di consolidamento dei valori comuni all’interno dell’UE, senza dimenticare la possibilità per gli studenti, i professionisti di domani, di acquisire un notevole vantaggio competitivo in grado di reggere il confronto sul mercato con i competitors asiatici e nordamericani.

Nella speranza di veder germogliare questo seme, dobbiamo interrogarci sulla reale volontà del sistema universitario italiano di aprirsi al nuovo, non sarà sfuggito infatti ai più attenti osservatori, delle difficoltà che ci sono, in alcuni casi, ad accogliere le novità e le innovazioni, guardate sempre con sospetto, se non addirittura contrastate, dai pochi ma influenti notabili in grado in qualsiasi contesto politico, di indirizzare le politiche pubbliche su scuola, università, formazione, ecc..

Dati alla mano, basta tener presente la feroce avversione nei confronti delle modalità didattiche digitali, oppure ricordare come solo nel 2022 in Italia siamo riusciti a superare e modificare attraverso un passaggio parlamentare un Regio Decreto del 1933 che vietava la frequenza di due corsi accademici contemporaneamente, quando nel resto dell’UE era consuetudine già da diversi decenni.